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CD e Registrazioni

copertina CD Ludwig van Beethoven: String Trio Op.9 n.1
Manuel Maria Ponce: Trio para violin, viola y violoncelo
world premiére recording
Ernst von Dohnanyi: Serenade Op.10

Label: Sound Image (2004)

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time: 60'45'' - tracks: 1-13
booklet languages: Italiano / English / Deutsch

Recording: Casa Fioroni (Rovereto – TN)
7-8 September 2004

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I Trii op. 9 per violino viola e violoncello che lo stesso BEETHOVEN (1770-1827), nella dedica al suo generoso mecenate, il conte Johann Georg von Browne-Camus, definì “la meilleure de [me] oeuvres”, vennero alla luce fra il 1796 e il 1798 (anno di pubblicazione). Benché siano stati a lungo trascurati dai critici e dai concertisti, Giovanni Carli Ballola (Beethoven, Ed. Bompiani, Milano, 2001) li considera “i lavori più intensi e perfetti del primo Beethoven, assolutamente degni di stare accanto ai successivi sei Quartetti [op. 18, 1798-1800], che in molte parti superano in profondità, maestria e maturità stilistica”. In effetti l’autore dimostra la capacità di sfruttare appieno le qualità timbriche e sonore dell’organico prescelto, con l’impiego di una scrittura polifonica densa in cui armonia e melodia si fondono mirabilmente. Seppur contraddistinti l’uno dall’altro per il differente carattere espressivo, i tre lavori sono strettamente collegati fra loro da una costante, organica modalità compositiva, oltre che da un amabile gusto per l’impasto coloristico ed una vivacità che riecheggia anche nei momenti più melanconici dei tempi lenti. Nel Trio n.1 in Sol maggiore, si rilevano degli influssi mozartiani, con particolare riferimento al Divertimento KV 563 (il lavoro che per la prima volta, forse, rivelò tutte le potenzialità dell’organico violino-viola-violoncello, decisamente meno sfruttato di altri). Le maggiori affinità si riscontrano nei due tempi centrali: l’Adagio, in cui da melodia distesa ed al contempo introversa è sostenuta da un’armonia ferma, a tratti frammentaria, e lo Scherzo che, curiosamente, presenta la possibilità di un Secondo Trio. Nel 1924 Schmidt pubblicò questo trio come possibile aggiunta allo Scherzo sulla base di un singolo foglio manoscritto recante l’annotazione autografa “das 2te Trio muß zum Einlegen geschrieben werden”. In questo modo il terzo tempo della composizione presenta la seguente struttura – analoga al Secondo Minuetto di Mozart: Scherzo – Trio I – Scherzo variato (Trio II – Scherzo). Nel primo movimento, dopo l’Adagio introduttivo, si staglia con straordinaria forza d’espansione il meraviglioso tema dell’Allegro con brio, dove lo sviluppo è condotto con serio vigore contrappuntistico. Il brano si conclude con il frenetico Presto finale, che però concede anche qualche ulteriore brezza lirica.

MANUEL MARIA PONCE (1886-1948), compositore messicano, approfondì la sua formazione musicale in Europa (1904), studiando pianoforte con Martin Krause a Berlino, composizione con Marco Enrico Bossi, Luigi Tocchi e Cesare Dall’Oglio a Bologna (più tardi, dal 1929 al 1932, avrebbe avuto modo di completare la sua formazione con Paul Dukas, a Parigi). Ritornato in Messico (1909), divenne docente di pianoforte presso il Conservatorio Nazionale e fondò l’Accademia Beethoven che diresse per anni. Svolse pure attività di pubblicista e critico musicale. Per due anni (1915-1917) si stabilì a Cuba, dove continuò la sua attività di insegnante e giornalista. Quando fece nuovamente ritorno a Città del Messico, riprese la docenza al Conservatorio e divenne direttore dell’Orchestra Sinfonica Nazionale. La conoscenza di Andres Segovia fu per Ponce una circostanza assai proficua che lo stimolò a realizzare un notevole corpus di lavori per chitarra. Oltre a tali brani, il suo catalogo comprende otto lavori per orchestra, svariate composizioni cameristiche, un concerto per violino e uno per pianoforte, pezzi per organo e per pianoforte solo, più di duecentocinquanta canzoni e numerosi corali. La sua produzione, variamente ispirata al folclore indo-messicano ha contribuito all’affermarsi del nazionalismo musicale in Messico, di cui è considerato il capostipite. Il Trio para violin, viola y violoncello, dedicato ai tre fratelli Cecile, Carlos e Carlitos Prieto, è una composizione particolarmente esemplare del suo personale linguaggio musicale, in cui gli amalgami sonori vengono creati adattando le regole dell’armonia classica ad un sistema basato sull’intervallo di quarta. A livello formale, invece, l’autore si rifà con serio rigore alla tradizione musicale europea. Nell’Allegro non troppo, espressivo si avvale di uno schema di forma sonata che, senza risultare scolastica, rispetta i precetti accademici in tutti i suoi elementi (temi, proporzioni ed anche rapporti fra tonalità, – se di tonalità si può ancora parlare). Le linee dei tre strumenti si intrecciano con morbidezza, denotando una concezione assolutamente cameristica del trio per archi. Il Minuetto è un gioco a canone fra violino e viola che poggiano su un’imitazione contrappuntistica del violoncello. Per quanto riguarda il discorso tematico, il compositore tradisce il suo debito inequivocabile nei confronti del repertorio popolare ispano-americano, a lui caro: ne sono un esempio lampante il terzo tempo, Canción, in cui è reiterato il languido tema di una serenata, e la coda del Rondò finale, in cui i tre strumenti alternativamente cantano sulle note di una scala minore napoletana.

ERNST VON DOHNÁNYI (1877-1960) è considerato, dopo Liszt, il più celebre pianista ungherese della storia. Si distinse pure in veste di direttore d’orchestra e in qualità di didatta e di responsabile di importanti organizzazioni musicali. Pur rientrando cronologicamente nella schiera dei compositori del XX° secolo, la sua musica risente marcatamente della tradizione romantica mitteleuropea, che egli intese recuperare con tutto il corredo formale classico, adattato però alle espansioni di un personale e intenso lirismo. Soprattutto l’influsso di Brahms è evidente sin dal Quintetto op. 1 in Do minore per il modo di trattare la forma sonata. Bartók, suo affezionato compagno di studi, parla di Dohnányi come un compositore di alta levatura artistica, anche se non troppo interessato al repertorio popolare e quindi, in certo senso, isolato nel contesto delle cosiddette “scuole nazionali”. La sua produzione non annovera più di quarantotto composizioni. La Serenata op. 10, l’unica creazione per trio strumentale, risale al 1902 e rappresenta una tappa fondamentale della sua carriera poiché gli permise di individuare definitivamente una peculiare cifra espressiva. Apparentemente in cinque movimenti, la Serenata è invero costituita dai quattro tempi classici, alternati, secondo le consuetudini settecentesche, nella successione lento - veloce - lento - veloce, e preceduti da una introduzione marziale che, collegata da affinità tematiche alla parte conclusiva dell’Allegro vivace, funge da cornice per l’intero lavoro. Particolarmente interessante risulta inoltre la tripartizione dei vari tempi che, se lenti, presentano al loro interno un episodio più agitato, se veloci, più disteso. Il secondo tempo, Romance, contiene uno spiccato lirismo e rivela una particolare cura nel dispiegare il discorso melodico nel registro più efficace dei tre strumenti. Dopo il virtuosistico Scherzo, compare un duplice atto d’omaggio al classicismo viennese: Tema con variazioni, dove il materiale tematico è elaborato con estrema duttilità e introduce soluzioni armoniche inattese, e Finale, in forma di rondò.

Francesco Bissoli
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